… “A combattere e star male per la differenza tra ciò che ERO e ciò che APPARIVO”.
… “Se dovessi paragonarmi ad un animale sceglierei la farfalla, motivo per il quale è l’animale a cui associo il mio racconto di vita…”

Se hai letto la mia presentazione non ti saranno di certe nuove queste parole. Le ho estratte e riscritte perché è da li che voglio iniziare: Dalla differenza tra ciò che SIAMO e ciò che APPARIAMO. Un po’ come quando diciamo di non giudicare un libro solo dalla copertina ma poi inevitabilmente tendiamo a lasciarci ispirare proprio da quell’immagine.

Questo è ciò che mi è sempre accaduto sin dalle scuole elementari, ci ho dovuto lavorare un sacco e ci lavoro costantemente perché questo è ciò che mi accade ancora oggi che ho 30 anni. Certo, potremmo essere filosofici e ripeterci che del giudizio degli altri non dovrebbe interessarci nulla, che dovremmo essere tutti sicuri di noi stessi, forti e indistruttibili. Cazzate! Raccontatelo ad un’emotiva e sensibile come me, e come me, vi riderà in faccia. Il giudizio degli altri può condizionare, cambiare e distruggere l’autostima e la serenità di una persona emotivamente fragile. Oggi, senza vergogna (o quasi), sono qui per dirti che è “l’inizio” di ciò che è accaduto a ME e sono qui a scriverlo, a mettermi a nudo, senza un obiettivo preciso ma con infiniti spiragli di speranza. Principalmente con la speranza che possa aiutarmi a sentirmi più leggera, ma anche con la speranza che qualcuno che abbia vissuto o viva una situazione simile alla mia smetta di vergognarsene. Con la speranza che chi ha contribuito volontariamente alle mie ferite sappia che SOLO grazie alla sofferenza sono riuscita ad evolvermi e capire il vero senso della vita e dell’amore che è alla base di ogni cosa. Con la speranza che chi mi ha ferita involontariamente sappia che anche se ho sofferto molto…avrà sempre il mio perdono perché oggi, da adulta, so quello che non potevo sapere da bambina: Se non sei in pace con te stessa non saprai esserlo con gli altri.

Scrivo con la certezza che attraversare il dolore sia l’unica strada per poter raggiungere la vera pace interiore. Sono giornalmente grata al dolore che ho vissuto. Sono grata ad ogni lacrima, ad ogni notte insonne, ad ogni “inutile” corsa al pronto soccorso, ad ogni nausea, ad ogni lancinante mal di stomaco, ad ogni sensazione di impazzire, ad ogni volta che mi sono chiusa nei miei silenzi, ad ogni volta che ho avuto il coraggio di capire che qualcosa non stava più andando nel giusto verso perché IO mi stavo letteralmente PERDENDO. Sarò grata anche alle prossime difficoltà, perché la vita è imprevedibile e gli eventi non mancheranno, la differenza sarà solo in come saprò accoglierle grazie all’esperienza passata. Si dice che qualcosa la si è superata quando la si riesce a raccontare senza piangere o starci male. Beh, da quando ho iniziato a scrivere, sono in piena tachicardia e in tempo reale mi sto chiedendo se il mio cuore batta cosi forte perché non ho ancora superato totalmente o perché in fondo temo il giudizio di coloro che leggeranno. Ora appena ho scritto queste parole, i miei occhi si sono riempiti di lacrime e ,mentre nelle mie cuffie Célin Dion sta cantando “A new day has come”, so perfettamente la risposta alla mia domanda: Sono agitata per entrambe le ragioni!

Probabilmente non ho ancora superato totalmente e, allo stesso tempo, temo il giudizio di chi mi sta leggendo. “Quando l’ansia ti telefona, tu non rispondere.” Questa è la chiave. L’ho usata nei momenti peggiori e la userò anche ora perché ho deciso di farlo e lo farò NONOSTANTE il batticuore, nonostante la paura del giudizio, nonostante TUTTO. Non perché sono forte ma perché voglio diventarlo e AFFRONTARE è l’unica strada. Documentandomi per la mia prima esperienza con un blog, varie linee guida suggerivano di creare la suspense, di rivelare le cose una per volta, ecc. Le ho lette, le ho studiate, ma ho capito una cosa. Le strategie non tengono mai conto delle EMOZIONI di chi le scrive. Non tengono conto della difficoltà di chi le scrive. Non tengono del fatto che, ad esempio nel mio caso, le dita scrivono su questa tastiera tremando. Ho imparato a dure spese a parlare con la parte più profonda di me stessa e quindi ora mi sto chiedendo: “Vanessa perché tremi”? e devo rispondermi ad alta voce altrimenti anche questa volta non sarò capita. Tremo perché solo ricordare mi fa tremare. Tremo perché ho paura di cosa penseranno tutti quelli che mi reputano una forza della natura, indistruttibile e sempre al massimo delle energie. Tremo perché HO PAURA DELLA MIA PAURA.

Tremo perché, come sempre, ho paura di non essere compresa. Tremo perché mi emoziono profondamente. Tremo perché non ci credo ma finalmente sto per avere il coraggio di far sapere a tutti qualcosa che fin ad oggi era solo mia, e di pochissime altre persone. Di solito il racconto di vita di una persona inizia dalla sua infanzia sino al tempo presente. Perdonatemi, ma nel mio caso andrò esattamente al contrario, esattamente come ho dovuto fare io andando indietro nel tempo per capire perché mi stava accadendo tutto quel “macello”. In un giorno d’agosto del 2016, in una sera d’estate come tutte le altre, la mia vita è cambiata improvvisamente e penso per sempre. Perché si supera ma non si dimentica, perché ciò che viviamo ci segna inevitabilmente nel bene e nel male. Ti metti a letto come una sera qualunque non sapendo che da quel momento tu non sarai MAI più la stessa persona di prima. Ti metti a letto non sapendo che da quel momento inizia una delle battaglie della tua vita. Ti metti a letto non sapendo che si, ti aspetteranno momenti di puro inferno, ma in realtà stai ricevendo un “dono” dalla natura. La vita è qualcosa di estremamente misterioso e anche se non credo precisamente in qualcuno o qualcosa, ho imparato a credere e capire quanto il nostro corpo e la nostra vita sia stata minuziosamente “progettata”.

Non potevo sapere che tutto ciò che avrei affrontato era arrivato “per proteggermi” dal male che inconsapevolmente mi stavo facendo. Non potevo saperlo perché non sapevo nulla in merito a ciò che mi accadeva. Credevo e sapevo solo, in ogni secondo, che sarei morta. Sapevo solo in ogni secondo che sarei realmente impazzita e che non avrei mai più avuto il controllo della mia vita. Sapevo solo che avevo paura. E non parlo della paura in maniera normale come meccanismo di difesa dell’essere umano. Parlo di una paura esagerata, sproporzionata, indomabile, cattiva e spietata ma soprattutto insensata perché oggettivamente non c’era nulla di cui aver paura… eppure io gridavo aiuto come lo si griderebbe se ad a un metro da voi ci fosse una tigre inferocita ma davanti a me c’erano solo i peluche della mia cameretta!

Non potevo sapere che di li la mia vita sarebbe cambiata per sempre, non potevo sapere che da quel momento avrei dovuto dimenticare la persona che ero e ricominciare a ricostruirmi tassello su tassello come se fossi nata di nuovo in quel momento a quasi 26 anni. Così, dopo diverse corse al pronto soccorso in cui venivo letteralmente “derisa” prima ancora di essere visitata (dato che ci andavo ripetutamente e…“senza motivo”), scelsi di non correre più in ospedale quando il mio stato avrebbe ri-raggiunto il “picco”. Ero stanca di ricevere un bicchiere con dei calmanti e sentirmi ripetere “Non hai nulla è SOLO una questione psicologica”.

Ero devastata ma allo stesso tempo riuscivo ad avere una minuscola consapevolezza: qualsiasi fosse stato il mio “male” avrei desiderato di essere guardata con comprensione, essere abbracciata, essere tranquillizzata con delle parole che mi indicavano il cammino e non con delle gocce che mi calmavano momentaneamente ma mi lasciavano sempre sulla stessa strada. Ricordo PERFETTAMENTE il viso di chi dopo un elettrocardiogramma mi guardò dicendomi ancora una volta “non hai niente è SOLO un po’ di ANSIA”. Ricordo perfettamente come mi sono sentita quando non era “niente” ciò che mi faceva credere che sarei morta entro pochi minuti.

“Come…non ho nulla? Io sto morendo, sto morendo ne sono certa.”
Questo era il mio pensiero per circa 20 ore al giorno, le altre 4 dormicchiavo.
Nessuna parola sarà mai abbastanza brava a far comprendere ciò che si vive, ma chi lo ha vissuto può capirmi perfettamente. Ed è per NOI che sto scrivendo ma è anche per voi che GIUDICATE e SMINUITE ciò che non avete provato. Perché non si tratta dell’ansia dell’interrogazione o del concorso di lavoro. Erano ormai diversi giorni che dormivo al massimo 3-4 ore e durante il giorno non riuscivo a mangiare perché il mio stomaco dopo un boccone di pasta mi dava la sensazione di aver ingerito un elefante intero. Non restavo sola neanche per andare in bagno. Erano ormai settimane che attendevo solo la mia morte, perché ne ero convinta: o stavo morendo o stavo diventando pazza.

Medico curante, gastroenterologo, ginecologo, cardiologo, pneumologo. Esami infiniti ma nulla, un po’ di gastrite cronica e un buon cuore da sportiva. “NULLAAAA? Voi siete pazzi, io sto male, io non respiro bene, io non dormo, io non ho fame, io mi sento su un altro pianeta, io vedo tutto come se fosse finto, surreale…Non è possibile!”. Analisi del sangue al policlinico, gastroscopia con biopsia, ricerca dei geni per la celiachia, per la fibrosi cistica, un altro cardiologo e un altro gastroenterologo. Nulla, non avevo “nulla”.
“Okay, allora sto diventando pazza. Mi gira la testa, sento di svenire continuamente, non riesco neanche più ad allenarmi perché non ho le forze. Cosa penseranno le persone di me? Come farò a settembre a tornare a lavoro? Come farò a mettermi in macchina e guidare? Come farò a vivere in questa condizione cronica?”
Tutte queste domande mi hanno tormentata fino al giorno della verità. Il giorno in cui mia sorella scelse prepotentemente di portarmi da quella che sarebbe poi diventata la mia prima psicologa. In realtà sia lei che mia sorella maggiore me ne avevano parlato diverse volte, ma io un po’ per ignoranza un po’ per diffidenza non valutavo mai seriamente la cosa.

Durante il viaggio verso Foggia persino la strada mi appariva finta, surreale, come mi apparivano tutte le cose intorno a me. Mi sentivo un pesce fuori dal suo mare e mi ponevo mille domande al secondo. Per eccellenza la domanda più frequente era: “Perché proprio a me?”. Successivamente avrei trovato le risposte, ma non potevo sapere in quel momento che da lì si sarebbe aperta la più terribile e sensazionale esperienza della mia vita.

Ricordo perfettamente che stavo così male da non voler nemmeno entrare nello studio da sola, doveva esserci qualcuno al mio fianco sempre. Ma ne fui costretta. Gli accompagnatori dovevano aspettare fuori. Non ricordo perfettamente cosa dissi alla dottoressa, parlai molto poco perché l’ansia era cosi elevata e cronica che a volte solo aprire la bocca mi dava nausea e giramenti di testa. Ma quel giorno per lo meno arrivammo al punto. Quel giorno ricevemmo la risposta. Quel giorno mi fu diagnosticato il DAP. Per chi non lo conoscesse, ora che ne sono esperta, ve lo spiego meglio: DAP sta per Disturbo da Attacchi di Panico. Un Disturbo Cronico che sfuma e cala di gravità con la terapia. Non sapevo di cosa stessimo parlando eppure, da ipocondrica nata, conoscevo tutti i disturbi e le malattie del mondo, ma questa… mi mancava!

Ti senti esattamente come se fino al giorno prima potevi correre e affrontare il mondo e improvvisamente non puoi neanche camminare perché il “pericolo” è sempre dietro l’angolo.
Immaginate di essere in una gabbia piena di leoni e voi da soli all’interno. Bene. Tutti quei sintomi fisici e psichici di paura sono COSTANTEMENTE nella tua giornata con un’unica differenza: non ci sono leoni e non ci sono gabbie. Ma le sensazioni sono IDENTICHE.
Ad oggi ne sono quasi abituata ed in confidenza non ti nego di averle vissute anche mentre te lo racconto… ma che importanza ha? Non ha importanza perché sudando mi sono riguadagnata una vita, non ha importanza perché tra alti e tantissimi bassi in tanto tanto tempo sono riuscita a capire perfettamente perché è arrivato e come dovevo e dovrò affrontarlo ogni volta che rimetterà piede nella mia vita. In una scala da 0 a 100 sono fuori da questo tunnel allo scalino numero 90 e sono certa che i 10 “scalini” che mi mancano arriveranno lungo il viaggio della liberazione del peso che mi porto dentro. Ho capito che nella vita tutto accade per una ragione anche quando ci sembra che una ragione non ci sia.

Ho capito l’importanza di essere viva l’importanza di ogni singolo giorno e di ogni singolo momento. Mi sono tolta “il dente” più doloroso sin da subito e ora, in questa nuova avventura, ti racconterò capitolo dopo capitolo come ho imparato a capire che ho ricevuto un dono e non un limite, ti racconterò i momenti migliori ed i peggiori, ti racconterò chi mi ha derisa e chi mi ha aiutata, ti racconterò soprattutto quanto è importante tutelare la propria anima perché tutto ciò che non esterniamo e soffochiamo, prima o poi, esce fuori in altro modo. Non vorrei mai suscitare il sentimento della pena, per questo concludo dicendoti che io oggi mi sento molto fortunata. Documentandomi e confrontarmi con altre esperienze ho capito che poteva andarmi molto peggio e che addirittura alcune persone si sono lasciate andare cosi tanto da non tornare più “a galla”. Per questo non vorrei che vada “peggio” a nessun altro, per questo vorrei che la mia esperienza possa essere sia d’aiuto che di riflessione, vorrei parlare e gridare a tutto il mondo che la salute psicologica delle persone non si ignora, non si sminuisce. Bisogna avere il coraggio di chiedere aiuto. Se potessi dire qualcosa alla Vanessa di 4 anni fa le direi DI NON VERGOGNARSI. Ma non c’è un tempo giusto o un tempo sbagliato c’è solo la consapevolezza che finche c’è vita c’è sempre il tempo per potersi riprendere tutto perché no, anche con gli interessi.

Da oggi voglio sentirmi un po’ più LIBERA .Da oggi non voglio più vergognarmi dell’esperienza più terribile ma allo stesso tempo più formativa della mia vita.
Questo è il “serpente di nebbia” di cui parlavo nella mia presentazione ed in questi anni io e “lui” ne abbiamo viste di tutti i colori e non vedo l’ora di raccontarteli tutti per poi lasciarli e chiuderli nella scatola dei miei ricordi per poi dare spazio a tutti i miei sogni nella scatola del mio presente e del mio futuro, una scatola che voglio riempire il più possibile di felicità e di amore verso me stessa e verso gli altri perché l’amore è l’unica vera forza dell’universo.